Tanti nonni non ci sono più, anche vittime innocenti della pandemia.

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Tanti nonni non ci sono più, anche vittime innocenti della pandemia. L’appello di Maurizio De Maso, artista sanseverese: “Torniamo dai nonni e ascoltiamoli.
Perché a loro basta un sorriso e restare a parlare per non sentirsi soli. Mettiamo da parte l’egoismo tecnologico e sentiamoci più comunità”. I nonni sono un patrimonio incommensurabile, non solo di umanità nel proprio nucleo familiare, ma per tutta la comunità. Un proverbio africano, recita: “Per educare un bambino, ci vuole un intero villaggio”. I nonni rappresentano la saggezza e l’insegnamento ma contribuiscono anche sotto l’aspetto economico, con la propria pensione, all’andamento
della famiglia (lì dove il lavoro manca). Purtroppo la pandemia ha reciso molti di questi alberi e sono tanti i nonni che hanno lasciato prematuramente i propri cari e i propri nipoti. Nella gran parte dei casi ai familiari è rimasta solo una scatola con i loro effetti personali. Sono morti da soli. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è di 81 anni. Un po’ come nella prima guerra mondiale, quando è scomparsa la generazione dei nati tra il 1899 e il 1900. A l’Attacco è l’artista sanseverese, Maurizio De Maso a descrivere lo stato d’animo di un nipote che cerca i nonni: “Uno dei momenti più tristi della nostra vita é
quando la porta della casa dei nonni si chiude per sempre. Una volta chiusa, quella porta, non ci saranno più i pomeriggi felici con zii, cugini, nipoti, genitori fratelli e sorelle”. De Maso, nelle sue dichiarazioni, ripercorre in modo spontaneo, appassionato e per niente retorico le fasi della vita e dei rapporti con i nonni: “Ce lo ricordiamo? Non era necessario andare al ristorante la domenica. Si andava a casa dei nonni. A Natale la nonna ‘bucava l’ozono’ con le sue fritture, mentre il nonno si dedicava all’arrosto facendo puntualmente bruciare la canna fumaria. La tavola era lunghissima e veniva apparecchiata nella stanza più
grande. Adesso la casa è chiusa ed è rimasta soltanto la polvere. Un cartello vendesi. Nessuno la vuole quella casa. È vecchia. Va ristrutturata. Costa troppo. Ma non è dato sapere quanto vale la casa dei nonni. La casa dei nonni non ha un valore”. È sempre più vero che sarebbe il caso di apprezzare ciò he si ha in vita, perché “del doman non v’è certezza”, diceva Lorenzo il Magnifico, nella sua ode alla giovinezza. Per non rimpiangere ciò che non c’è più: “E così passano gli anni – ha continuato Maurizio De Maso che, pare stia scrivendo il testo di una delle sue canzoni – Non ci sono più regali da scartare. Frittate da mangiare. Verdure da pulire. Quando la casa dei nonni si chiude ci ritroviamo adulti senza capire quando abbiamo smesso di essere bambini. Certo, per i nonni saremo sempre piccoli e indifesi. Sempre! I nonni avevano sempre il caffè pronto. La pasta. Il vino. Le caramelle. Poi finisce tutto. Non ci sono più le canzoni. Non si fa più la pasta fatta in casa. La nonna non friggerà più le patatine e io non potrò più ‘rubarle’ di nascosto dal forno. Mi sarebbe piaciuto fare la salsa ancora una volta. Il mirto. Le chiacchiere. E il liquore
all’alloro. Io volevo ancora accatastare la legna con te nonno: anzi, grazie per avermelo insegnato. E grazie per gli insegnamenti sulla vita. E sulla campagna. E sul giardinaggio. Ora quando passo guardo quella casa e mi viene sempre l’abitudine di parcheggiare, di rimanere fisso a guardare e di pensare la canzone preferita del nonno: Un amore così grande”. Sono quei legami che, oggi, forse, sembrano rimasti nel famoso libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, per chi l’ha letto: “Andrebbe riportato come lettura nelle scuole – ha concluso Maurizio De Maso – Non è retorica ma è un bagaglio di valori che non c’è più o sta scomparendo. Anche per colpa nostra. I nonni che mancano sono una tragedia. Il nonno è genitore due volte e sa come trattare i nipoti, anche quando li rimprovera. Torniamo dai nonni e ascoltiamoli. Perché a loro basta un sorriso e restare a parlare per non sentirsi soli.
Mettiamo da parte l’egoismo tecnologico e sentiamoci più comunità”.


Beniamino PASCALE