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Vieste resti umani in fondo alla gravina. Il test del dna dirà se sono di Francesco Libergolis, scomparso 7 anni fa.

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Sono di Francesco Libergolis, l’allevatore di 41 anni di Monte Sant’Angelo scomparso il 24 giugno del 2011, le ossa di un piede rinvenute dai carabinieri all’interno di uno stivale di gomma in una gravina di Vieste profonda sei metri, in località «Paradiso selvaggio»? Anche intorno a questa ipotesi lavorano gli investigatori, visto che i resti umani – i secondi rinvenuti in pochi giorni in fenditure nel terreno – erano in una grave non lontana dal luogo dove fu ritrovata l’auto dello scomparso, a distanza di due settimane dalla sparizione.
Anche il nome di Francesco Libergolis – incensurato e imparentato con l’omonima famiglia coinvolta nella faida, cui peraltro era estraneo visto che non vi era stato mai coinvolto – è inserito nella lunga lista delle vittime della lupara bianca della Capitanata. Saranno le analisi del dna ricavato dalle ossa comparato con quello di parenti dello scomparso a confermare o smentire se davvero i resti umani appartengano all’allevatore garganico sparito sette anni fa per motivi mai accertati e a opera di killer rimasti ignoti e probabilmente destinati a rimanere tali.
Anche in questo caso, come per quello di una settimana fa, il rinvenimento è stato fatto dai carabinieri dello squadrone «cacciatori di Calabria e Sicilia», specializzati in ricerche e perlustrazioni anche in anfratti, nell’ambito di un piano d’intervento che li vede impegnati da qualche tempo nel calarsi nelle grave del Gargano in cerca di ciò che resta di vittime della lupara bianca. Sul fondo di una gravina, ad una profondità di circa sei metri, i carabinieri hanno trovato un paio di vecchi stivali di gomma, del tipo di quelli generalmente usati per portare al pascolo e governare greggi e armenti, uno ormai quasi completamente disfatto, l’altro quasi integro. E proprio all’interno di quest’ultimo c’erano le falangi di un piede. Le condizioni di quanto ritrovato fanno inevitabilmente pensare che fossero là da tempo. L’opera dei “carabinieri cacciatori” è finalizzata a preparare il terreno ai colleghi che ormai a breve si stanzieranno definitivamente sul promontorio e sta un po’ alla volta costringendo il Gargano a restituire i corpi delle tante vittime di “lupara bianca” che, negli ultimi decenni, hanno accompagnato il radicamento della criminalità organizzata nei territori di Vieste, Mattinata e Monte Sant’Angelo.

 

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