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Referendum 29 marzo: tagliare la democrazia Meno rappresentanza

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Il 29 marzo gli italiani sono chiamati al voto per approvare o respingere le “modifiche agli articoli
56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione dei parlamentari”. Il taglio prevede la riduzione
del numero dei deputati che passa da 630 a 400 (230 unità) e i senatori da 315 a 200 (115 unità). Per
un totale di 345 parlamentari in meno. Il taglio dei parlamentari corrisponde ad un taglio della
rappresentanza in parlamento; i padri costituenti progettarono una democrazia con un rappresentante
in parlamento ogni 80.000 abitanti in modo da garantire un legame stretto parlamentare/territorio che
lo ha eletto; oggi la popolazione è aumentata di circa 14 milioni (siamo passati da 46 milioni del 1948
a più di 60 milioni odierni), mentre il numero dei parlamentari non è aumentato (dal 1963 abbiamo
630 deputati e 315 senatori), abbiamo quindi la rappresentanza di un deputato ogni 97.696 abitanti e
di un senatore ogni 195.393 abitanti. Con il taglio dei parlamentari ci ritroveremmo con una
rappresentanza di un deputato ogni 154.021 abitanti e un senatore ogni 308.042 abitanti. I nostri
parlamentari non avrebbero più il contatto diretto – in verità già perso da tempo- con il collegio che li ha eletti.
In senato la situazione è ancora più grave, esso è eletto secondo l’articolo 57 della Costituzione a base regionale, con una riduzione di 115 unità, ne consegue che i seggi verranno assegnati a liste che pur avendo superato la soglia di sbarramento (attualmente al 3% che probabilmente passerà al 5% con la
nuova legge elettorale) se non otterranno almeno il 10% non entreranno in senato, tenendo fuori milioni di elettori. È curioso notare che il numero dei senatori a vita (5) nominati dal presidente della Repubblica e non eletti, non viene messo in discussione.
La democrazia diventa un’oligarchia
Dalla democrazia diretta sbandierata dal M5S a un’oligarchia autoreferenziale, il passo è breve.
Scrivono il professore Paolo Becchi e l’avvocato Giuseppe Palma ‹‹Le leggi costituzionali e di
revisione costituzionale, la cui procedura “aggravata” è prevista dall’art. 138 della Costituzione, sono approvate in prima deliberazione a maggioranza dei presenti. Con la riduzione dei parlamentari basterà in prima lettura il voto di pochi deputati e senatori per cambiare la Costituzione. Non solo. In
seconda deliberazione, se si raggiunge la maggioranza dei 2/3 dei componenti di entrambi i rami del Parlamento, la revisione costituzionale non è soggetta a richiesta di referendum popolare confermativo, con la conseguenza che la Costituzione sarà alla mercé di uno sparuto gruppo oligarchico che risponde unicamente alle segreterie di partito. Negli ultimi quattordici anni abbiamo
avuto leggi elettorali con listini bloccati e nominati. L’attuale sistema elettorale prevede che quasi i 2/3 di deputati e senatori siano eletti col sistema proporzionale a listini bloccati, coi nomi dei candidati già indicati sulla scheda elettorale e senza la possibilità di esprimere preferenze. Ridurre il numero
dei parlamentari, con simili leggi elettorali, spalancherà le porte solo a persone gradite alle segreterie dei partiti. Altro che lotta alla “casta”.››
Democrazia svenduta per 1,35€
Tra i motivi trainanti del taglio dei parlamentari c’è quello del risparmio economico. Il risparmio che
si otterrebbe dal taglio di 345 parlamentari è di circa 53 milioni per le casse della Camera e 29 milioni per quelle del senato, per un totale di 82 milioni all’anno, 410 milioni di € a legislatura. Lo 0,007% della spesa pubblica. Tanti soldi? No, considerando che la popolazione italiana è di circa 60,3 milioni, il risparmio annuo di ogni italiano è di circa 1,35€, ovvero 6,75€ a legislatura. Una spesa sostenibile per mantenere il nostro apparato democratico. A tal proposito chiosa Elia Irmici ‹‹Tutto ciò posto,
vanno considerate una serie di altre circostanze che rendono il taglio predetto, prettamente inutile. In primis occorre evidenziare che l’intera macchina statale costa 800 miliardi di euro l’anno, di guisa che
l’asserito risparmio appare estremamente esiguo. Inoltre la riforma risulta essere un mero tentativo di accontentare il bacino elettorale del partito promotore, pronto a trovare una soluzione semplice per
problemi complessi. In particolare se l’indirizzo politico della classe dirigente attualmente sugli
scranni parlamentari è quella di rendere lo Stato uno stato-azienda (con la s volutamente minuscola), i tagli sono da fare su tutte le consulenze inutili e lautamente pagate causate dell’incompetenza tecnica degli amministratori pubblici, sui servizi inutili, sull’obbligatorietà di concedere i servizi in affidamento ai privati che necessariamente costano di più rispetto a quanto sarebbe il relativo costo se lo Stato gestisse in proprio i servizi de quibus.
Sul punto la linea del M5S è contraddittoria, infatti solo un anno fa licenziava il decreto “sblocca cantieri” che rendeva molto più facile per gli Enti affidare senza gara, appalti e servizi con conseguente aumento degli sprechi di risorse, dall’altra si pretende di risparmiare con l’esigue economie derivanti dal taglio dei parlamentari.›› Peggio del Fascismo e della Massoneria
Fu infatti nel 1929 che il numero dei deputati passò da 535 a 400, di certo non per una svolta
democratica, senza contare che all’epoca la popolazione era di circa 42 milioni (un rappresentante ogni 105.000 abitanti, con il taglio deciso da buona parte di questo parlamento, avremmo un rappresentante ogni 154.021 abitanti!). E ancora, nel piano di rinascita democratica della loggia
massonica P2 era prevista anche la riduzione dei deputati da 630 a 450 e dei senatori da 315 a 250, sì, anche peggio di Licio Gelli.
Il ricatto morale
Non bisogna cedere al ricatto morale di chi dice che votare “no” al referendum significa parteggiare per la casta, perché votare “no” significa difendere il proprio sacrosanto diritto di essere rappresentato in parlamento contro chi utilizza lo spauracchio del risparmio economico (inesistente) per giustificare
una svolta oligarchica al nostro parlamento. L’invito è quello di votare per coscienza e non per direttive di partito.
Umberto Iacoviello (Alleanza Popolare)

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